Rahmatullah Hanefi, il mediatore di Emergency incarcerato in Afghanistan, sarebbe ora accusato di concorso in omicidio, reato che in Afghanistan prevede la pena di morte senza la possibilità di assistenza legale da parte dell’imputato. La notizia è da prendere con le molle, perché non viene da fonti ufficiali, e il fatto che in Italia sia stata riportata dal Corriere non ne aumenta (purtroppo) la credibilità.
Riporto di seguito il comunicato stampa di Emergency:
23 aprile ’07 – In Afganistan non esiste diritto alla difesa?
Un articolo del «Corriere della sera» di lunedì 23 aprile, firmato da Fiorenza Sarzanini, titola «Il mediatore di Emergency rischia il patibolo».
Si dice nell’Occhiello «È colpevole di un reato contro la sicurezza nazionale. Non è prevista l’assistenza legale».
Il contenuto dell’articolo relativo a “fatti” è soltanto un centone di parole già dette e già note: tanto sugli interrogativi sulla sorte di Adjmal Nashkbandi, l’interprete di Mastrogiacomo (che Mastrogiacomo stesso testimonia di avere visto liberato), assassinato l’8 aprile, quanto sulle accuse a Rahmatullah Hanefi (il collaboratore di Emergency detenuto in isolamento da oltre un mese in carceri afgane senza alcuna accusa formale né l’assistenza di un legale).
È noto anche ciò che si ricorda in chiusura dall’articolo, che cioè «In Italia a questa accusa non sembra credere nessuno… Gli stessi uomini dell’intelligence non hanno mai espresso dubbi sul suo [di Rahmatullah Hanefi, o di Emergency] operato…».
È sconcertante l’affermazione “di forma” che esista la possibilità di un “procedimento” nel quale non sia prevista l’assistenza legale, tanto più se tale “procedimento” rischia di sfociare in una condanna a morte.
Sconcertante vedere questa eventualità presentata come una rassegnata constatazione. In palese contraddizione peraltro con le dichiarazioni dell’Ambasciata afgana in Italia: «… l’Afganistan ha una vera, democratica e avanzata costituzione con adeguata chiarezza delle norme di legge e la protezione dei diritti e dei privilegi di tutti gli individui». In palese contraddizione anche con la Costituzione afgana vigente, la quale formalmente sancisce l’inviolabilità e la non derogabilità per alcun motivo del diritto alla difesa.
Non sono citate le fonti della giornalista, il che non consente valutazioni sulla consistenza delle affermazioni riportate.
Se queste affermazioni non saranno smentite, risulterà palesemente falso tutto ciò che è detto circa il carattere «democratico» e «legittimo» del governo Karzai, che l’Italia è impegnata a sostenere e difendere in diverse forme, non solo militari: l’Italia è infatti «paese guida» (lead country) nell’ambito della «comunità dei donatori» per la ricostruzione dell’amministrazione della Giustizia.
È inconcepibile, di fronte a questo ulteriore elemento di valutazione, che il governo italiano prosegua nel suo sostanziale disinteresse, in considerazione anche del fatto che tutto questo sia relativo a una persona che è accusata per ciò che ha compiuto in attuazione di richieste della presidenza del Consiglio e del ministero degli Esteri.
Non ha valore di argomento la ripetuta dichiarazione di esponenti del governo italiano, secondo la quale non sarebbe possibile intervenire in questo caso trattandosi di un cittadino afgano detenuto dalle autorità del suo paese. Erano cittadini afgani detenuti dalle autorità del loro paese anche cinque prigionieri dei quali il governo italiano si è molto attivamente e insistentemente interessato tra il 16 e il 18 marzo, ottenendone la liberazione.